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Venezia vista da un veneziano.

di MICHELE CASAGRANDE.

LA BELLEZA E L’ISOLAMENTO di Venezia la rendono spesso irreale ai visitatori. In effetti essi hanno ragione: sin dalle sue origini Venezia è sempre stata irreale, un’invenzione dei propri cittadini. L’idea di un’isola artificiale fu inizialmente concepita dagli abitanti di Altino, rifugiatisi in laguna a causa delle invasioni barbariche. Dopo secoli di gloria e decadenza la città ha assunto oggi la sua forma complessa e inconfondibile.

RVflagNato a Venezia e avendoci passato buona parte della mia vita, ho potuto notare come la città sia cambiata nel tempo, come si sia adattata alle nuove esigenze della modernità, alla sua maniera particolare.

Essendo spesso fuori città, mi ritrovo costantemente in una condizione di spiazzamento ad ogni mio ritorno. Mi sorprendo di vedere attività che chiudono e altre che aprono, molte persone che lasciano la laguna e poche altre che vi si avvicinano. Mi sembra quasi di ritrovarmi in una condizione intermedia, tra chi ha vissuto la propria infanzia e ha goduto dell’anima di un luogo, e chi in quel luogo ci si ritrova di tanto in tanto come un mero osservatore.

Da vent’anni a questa parte, Venezia è stata trasformata da una sempre maggiore enfasi sull’industria turistica, con inevitabili ripercussioni sulla cittadinanza e sulla cultura della città. Una duplice visione di Venezia ora prevale: il punto di vista locale opposto al punto di vista dei forestieri.

Da veneziano posso facilmente esprimere la prospettiva locale. Da due decadi ormai l’Amministrazione della città ha imposto una nuova varietà di turismo. L’obbiettivo è di massimizzare il numero di turisti, favorendo tutti i servizi che possano produrre un breve passaggio per la città ed un incremento delle entrate per il comune e privati. Il risultato è un’illusoria immagine di Venezia, estremamente superficiale, dove Piazza San Marco non è altro che un bellissimo spazio di fronte a una magnifica chiesa, habitat di simpatici e sporchissimi piccioni. Sfortunatamente per noi, questa piazza è il centro della città in cui viviamo, e l’immane numero di turisti è così fitto da non poter consentire una libera circolazione. Questo intasamento si estende sostanzialmente per tutta la città e talvolta in spazi angusti si rivela ancor più fastidioso, rendendo una semplice camminata uno sgradevole percorso ad ostacoli. Una politica pubblica a favore della quantità piuttosto che la qualità può produrre solamente visitatori che hanno “visto venezia” piuttosto che “vissuto Venezia”.

I servizi pubblici sono inoltre sempre più rarefatti: lo splendido palazzo delle Poste viene ora adibito a centro commerciale, vari reparti ospedalieri di volta in volta delocalizzati in terraferma. Il tessuto sociale della città si sfalda, lasciando praticamente appiedata quella piccola borghesia che non può più sopperire ai costi della città. Ogni anno Venezia perde un numero esorbitante di abitanti. Dai 76.000 del 1991 oggi se ne contano soltanto 56.000. Un ritmo che non accenna a diminuire.re

È FREQUENTE POI sentire per le calli ed i campi il piacere di chi si ritrova di tanto in tanto a Venezia, e si compiace dei minimi cambiamenti strutturali della città. Le pochissime costruzioni nate a Venezia negli ultimi anni, fanno da contraltare a un mondo che al di fuori della laguna cambia continuamente, a una velocità vertiginosa. Basti pensare a come altre città nel mondo si sono evolute nell’ultimo ventennio: Berlino, Milano, Pechino, Vancouver, Rio de Janeiro. Una lista infinita di città che hanno adattato la propria essenza alla loro importanza in una realtà in movimento. Ma Venezia per ovvie ragioni non può mutare la sua forma esteriore. Per evolvere purtroppo ha dovuto alterare la sua natura interiore, lasciando che il rogo del Mulino Stucky facesse posto a una grande catena alberghiera. Ha dovuto permettere sponsor pubblicitari in ogni angolo di Piazza San Marco per pagare i restauri degli edifici. Ha dovuto aprire alle grandi navi da crociera un passaggio nel cuore della città, mettendo a serio rischio la sicurezza delle fondamenta, distorcendo il suo profilo e incrementando il disuso di uno dei grandi simboli cittadini: la barca a remi, più comune e più pratica della famosa gondola. I due esempi più conosciuti di questo tipo di imbarcazione, la mascareta e il sandalo, sono ormai sempre meno utilizzati dai veneziani per spostarsi. L’avvento delle barche a motore, delle grandi navi, oltre al traffico acqueo sempre crescente, scoraggiano i tradizionali vogatori, sempre più avversi a sfidare un impressionante moto ondoso.

La città è stata costretta a questa soluzione a causa del suo proprio sviluppo, e a causa dello sviluppo del triangolo industriale di Mestre, Treviso e Padova. Sostenere gli ingenti costi di mantenimento della città all’interno di un’area industriale che in terraferma assorbe la maggior quantità della produzione, poteva avere un’unica conseguenza: fare di Venezia una città-museo, una città dove chiunque avrebbe potuto immergersi a capofitto tra i mille capolavori e lo spettacolo della sua unica urbanistica. Dunque, come in ogni gran museo che si rispetti, si tengono anche esposizioni laterali, lasciando spazio ai mecenati dell’arte mondiale di esporre la propria importanza nei palazzi signorili sul Canal Grande, amplificando quella che di già era la vocazione turistica della città.

Così la curiosità cresce e l’industria predominante si autoalimenta.

Risuonano attualissime le considerazioni di Goethe nel suo viaggio veneziano: testimoniamo un triste declino, di una città dall’anima smarrita.

AD OGNI MODO, ogni veneziano deve sforzarsi di capire il punto di vista dei visitatori. Essi possono facilmente arrivare via terra o volare all’aeroporto Marco Polo e trovare una sistemazione nella terraferma raggiungendo Venezia da Mestre grazie ai bus o treni che attraversano il Ponte della Libertà,. Solo una facoltosa minoranza della massa turistica può infatti permettersi di passare alcune notti all’interno della città per cercare di capirla meglio. Gli altri si immergono in un’affollata passeggiata, limitandosi all’acquisto di finti vetri made in China dell’isola di Murano, altra zona industriale in difficoltà. Di questa situazione percepisco una sempre maggiore consapevolezza da parte del turista stesso, quasi imbarazzato della sua condizione di mero numero. E non sa più se Strada Nova sia una via di passaggio o un immenso suq. Risuonano attualissime le considerazioni di Goethe nel suo viaggio veneziano: testimoniamo un triste declino, di una città dall’anima smarrita. Eppure questi forestieri—che siano giapponesi, australiani o italiani provenienti da altre città—talvolta riescono a cogliere lo snaturamento culturale di Venezia, prodigandosi per il mantenimento del suo stato di urbe. È accaduto recentemente che una cordata di amanti di Venezia, cittadini ma anche numerosi stranieri, unisse le proprie finanze per cercare di acquistare Poveglia, un’isola nel cuore della laguna, messa all’asta dal demanio. Il loro piano sarebbe di preservarla per l’uso comunitario. Finora, nonostante una vivacissima campagna di sensibilizzazione, il suo progetto non è stato approvato.

Molti vogliono energicamente cambiare le cose, eppure i ritmi della città sembrerebbero troppo lenti nella quotidianità, estremamente goliardici, ma tendenzialmente pigri. Questo atteggiamento è descrivibile attraverso alcune immagini: vivendo in una città meravigliosa posta al centro dell’attenzione del mondo intero perché qualcuno vorrebbe andarsene? Perché spostarsi da un luogo che può offrire rendite altissime a impiegati sostanzialmente manovalanti, come gondolieri e tassisti?

La sera la città inizia a respirare e ad assomigliare sempre più alla propria condizione: deserta. Vive di pochi sprazzi di gioventù in cerca di una distrazione alcoolica ma per lo più è circondata dal silenzio e dal vuoto degli ambienti. Finalmente si può avere un rapporto intimo con le calli, i rii, in una lenta, dolce passeggiata al chiaro di luna, o immersi nella nebbia. È proprio in questi momenti che lo spazio e il tempo si dilatano. Non solamente per un dato fisico, il dover percorrere corte distanze in lunghi periodi, ma per un piacere dell’osservazione. Definitivamente Venezia può impigrire. Talmente tanto da poter addormentare all’interno di un bellissimo sogno chiunque riesca ad affezzionarsi alla città e ai suoi infiniti dettagli.

In questi momenti privilegiati il visitatore e il veneziano possono condividere la stessa emozione davanti alla bellezza unica della citta. Provando le stesse sensazioni, non si può che assumere una visione comune, vera, passionale, gratificante e grata per una cultura che ha segnato la storia occidentale. In fondo, lo straniero che realmente ama Venezia è anch’esso un veneziano.


Michele Casagrande was born and raised in Venice.  He received his degree in International Relations from the University of Bologna; this year he will continue his studies at the London School of Economics and the University of Beijing.  He has worked as a press liaison for the Venice International Film Festival and as an exhibition curator.  He is currently employed as a researcher on two projects, one on Tintoretto and the other on Venice in the Chinese art market.

La traduzione in inglese, da Hoyt Rogers, è qui.

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